mercoledì 6 aprile 2011

Quando possiamo parlare di disturbo psicologico?

Quando un problema o disagio psicologico costituisce un vero e proprio disturbo che necessita di attenzione clinica e aiuto professionale da parte di un esperto (psicologo, psicoterapeuta, psichiatra)?

Non unico, ma in modo particolare, fra i concetti scientifici quello di disturbo mentale o psicologico[1] è di definizione tutt’altro che semplice. Non esiste infatti una definizione assoluta ed univoca del concetto che risulta essere relativa a criteri soggettivi, statistico-normativi, sociali, storico-culturali, scientifico-epistemologici.

Nonostante la complessità della materia, seppur non in termini assoluti (cosa peraltro irrealizzabile e neppure auspicabile) un ragionevole grado di accordo è rintracciabile in una definizione basata sull’utilizzo di più indicatori.

Il DSM-IV (la quarta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) concettualizza il disturbo mentale come una sindrome[2] clinicamente significativa[3] che si presenta in un individuo associata a disagio soggettivo (es. sofferenza emotiva) e/o disabilità psico-sociale (compromissione del funzionamento sociale, relazionale, scolastico o lavorativo), ad un aumento significativo del rischio di morte, di dolore o di disabilità, o a un'importante limitazione della libertà. In più questa sindrome non deve rappresentare semplicemente una risposta attesa o culturalmente sancita ad un particolare evento[4].

Non possono essere considerati un disturbo mentale comportamenti devianti di tipo politico, religioso, sessuale ecc…, a meno che questi comportamenti non rappresentino sintomi di un quadro avente le caratteristiche sopra descritte.

Il DSM-IV presenta questa definizione in quanto “utile come qualsiasi altra definizione disponibile, e per il contributo dato nella scelta delle condizioni al confine tra normalità e patologia”.

In sintesi e in termini più restrittivi, per essere tale un disturbo psicologico deve causare un disagio significativo alla persona (per esempio in termini di intensità e durata della sofferenza emotiva) e/o determinare una marcata interferenza negativa sulla sua vita quotidiana, sociale, relazionale, scolastica o lavorativa, manifestandosi in modalità che si discostino da quelle attese nella cultura di appartenenza.

La valutazione dell’entità di un problema psicologico nonché la diagnosi di un disturbo è un’operazione delicata che esige l’utilizzo di risorse e strumenti conoscitivi di pertinenza di un professionista della salute mentale (psicologo, psicoterapeuta, psichiatra). 




[1] La stessa dizione di disturbo psicologico (o mentale) può risultare fuorviante dato che riconduce ad una distinzione mente-corpo superata e inappropriata. In realtà è ormai chiaro come allo stesso tempo ci sia molto di “fisico” nei disturbi mentali e molto di “mentale” nei disturbi fisici.
[2] Insieme di segni e sintomi
[3] Rilevanti rispetto alla norma i parametri dell’intensità, frequenza, durata, disagio esperito e/o grado di compromissione del funzionamento psicosociale.
[4] Ad esempio una reazione di lutto successiva alla perdita di una persona cara. 



Riferimenti bibliografici:

American Psychiatric Association (1994), DSM-IV, Masson.