giovedì 17 novembre 2016

IL TEST DI RORSCHACH: CORSO DI FORMAZIONE


In partenza a gennaio 2017 la nuova edizione del corso di formazione sul test psicodiagnostico di Rorschach curata da Scuola Romana Rorschach e Laboratorio di Psicologia Applicata.

Il Corso rappresenta l'unica realtà formativa in E-Learning (dispense didattiche, videoregistrazioni, videoconferenze) accreditata presso la Scuola Romana Rorschach che riconosce gli iscritti come Soci Allievi dell´Istituto e consente l´accesso all´esame finale di attestazione della competenza acquisita al pari del classico corso biennale d´aula.

Informazioni ed iscrizioni su www.psicoapplicata.org

domenica 13 novembre 2016

Il disturbo oppositivo-provocatorio


La diagnosi di disturbo oppositivo-provocatorio (DOP) fa riferimento ad un quadro sintomatico caratterizzato da problemi di regolazione emotiva e comportamentale che esordisce tipicamente durante l'infanzia o la prima adolescenza.

Caratteristiche diagnostiche

I bambini e adolescenti con DOP presentano un umore collerico e irritabile, mostrano un frequente e persistente comportamento polemico/provocatorio e tendono ad essere dispettosi o vendicativi.

In particolare, i soggetti con DOP:
  1. Vanno spesso in collera;
  2. Sono spesso permalosi o contrariati;
  3. Sono spesso adirati o risentiti con gli altri;
  4. Litigano spesso con figure che rappresentano l'autorità (nel caso di bambini o adolescenti, con gli adulti);
  5. Sfidano attivamente le regole o le figure che rappresentano l'autorità oppure si rifiutano di rispettarne le richieste;
  6. Irritano deliberatamente gli altri;
  7. Accusano spesso gli altri per i propri errori o per il proprio cattivo comportamento;
  8. Tendono a mostrare comportamenti dispettosi o vendicativi verso gli altri.
Per porre la diagnosi è necessario che almeno quattro di questi sintomi si presentino con una certa frequenza e per una durata di almeno 6 mesi [1].

Frequenza e persistenza dei sintomi unite all'evidenza di conseguenze negative in termini di adattamento (disagio nell'individuo o nelle persone a lui vicine come famigliari, coetanei, colleghi di lavoro e/o conseguenze negative sul funzionamento sociale, scolastico o lavorativo) costituiscono criteri essenziali per discriminare il disturbo da comportamenti che rientrano invece nella sfera della normalità.

Molti dei comportamenti evidenziati possono infatti manifestarsi in una certa misura durante il normale corso dello sviluppo ed anche per questo è fondamentale che la diagnosi di DOP sia effettuata da un professionista della salute mentale che potrà valutare l'entità e l'impatto dei sintomi ed escludere eventualmente altri disturbi con manifestazioni comportamentali apparentemente simili.

Decorso e disturbi associati

I primi segni del disturbo appaiono solitamente durante l'età prescolare o la prima adolescenza e solo raramente dopo questo periodo della vita.

La diagnosi di DOP presenta un certo grado di associazione con quella del disturbo da deficit di attenzione/iperattività (DDAI o ADHD nell'acronimo inglese). Il disturbo oppositivo-provocatorio precede inoltre spesso il disturbo della condotta, particolarmente nei casi in cui l'esordio del DOP risulti collocabile durante l'infanzia [2].

Bambini e adolescenti con DOP sono a maggior rischio di manifestare da adulti problemi relativi ad ansia, depressione, abuso di sostanze e comportamenti antisociali (APA, 2014).

Fattori di rischio 

Nei bambini con disturbo oppositivo-provocatorio sembrano rintracciabili alcuni fattori temperamentali comuni: durante la prima infanzia questi bambini sono molto reattivi, facilmente irritabili e difficili da confortare; negli anni successivi manifestano maggiori problemi di attenzione, impulsività e regolazione emotiva. Questi fattori possono pertanto essere considerati in una certa misura predittivi del disturbo.

Altri fattori di rischio che possono concorrere a spiegare l'insorgenza del disturbo sono individuabili all'interno delle dinamiche educative e comunicative delle famiglie dei soggetti affetti da DOP: il disturbo ha una maggiore prevalenza nei bambini o adolescenti che vivono in famiglie che adottano pratiche educative rigide, incoerenti o negligenti [3]. In queste famiglie possono alternarsi scarsa attenzione per la disciplina, atteggiamenti incoerenti e rigidità eccessiva. 

Trattamento

Il trattamento cognitivo-comportamentale del DOP prevede un lavoro differenziato sul soggetto che manifesta i sintomi e sui genitori (se il soggetto è un bambino o adolescente).

Il soggetto interessato dal disturbo sarà stimolato a riflettere sui meccanismi alla base delle sue reazioni oppositive e aggressive nonchè sulle emozioni e sui pensieri ad esse associate. Obiettivo del lavoro terapeutico sarà l'acquisizione di nuove competenze per gestire rabbia e frustrazione e per comunicare richieste, intenzioni ed emozioni.

I genitori saranno incoraggiati a focalizzare l'attenzione sulle possibili relazioni fra i propri comportamenti e quelli del figlio e guidati nel riconoscere e modificare i meccanismi di mantenimento del problema. Il terapeuta suggerirà ed inviterà la coppia alla sperimentazione di nuove strategie educative mirate alla riduzione di situazioni conflittuali e comportamenti problematici.   

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[1] Per la diagnosi risulta inoltre essenziale che le anomalie causino significativo disagio nell'individuo o nelle persone del suo ambiente relazionale e/o producano conseguenze negative sulla qualità dell'adattamento e infine che si possano escludere altri disturbi con manifestazioni comportamentali apparentemente simili.
[2] Una parte di bambini con DDAI sviluppa un DOP e una parte di questi ultimi svilupperà un disturbo della condotta. 
[3] Questi genitori possono risultare poco determinati nell'educare i propri figli, prestare loro scarsa attenzione e controllo e/o dimostrarsi rigidi, imprevedibili e/o tendere spesso a manifestare reazioni negative e inappropriate. 


Riferimenti bibliografici:

American Psychiatric Association (2014), Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Quinta edizione, DSM-5, trad. italiana, Raffaello Cortina editore

Davis D. (2007), La rabbia nei bambini. Una guida per i genitori, Armando editore.



martedì 30 agosto 2016

Gruppi di confronto a Fano


Figli adolescenti, dalla crisi alla comunicazione: gruppo di confronto tra genitori (supervisionato da uno psicologo)


































Oltre la timidezza: gruppo di confronto (supervisionato da uno psicologo)















giovedì 9 giugno 2016

I Disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti


Non vi sono ormai dubbi sul fatto che lo sviluppo di molti disturbi psicologici risulti legato ad esperienze traumatiche sperimentate nel corso della vita. L'ampiezza del concetto di trauma e la variabilità della reazione individuale non rendono tuttavia prevedibili relazioni causali dirette trauma-disturbo (in altri termini non è possibile prevedere con certezza che il trauma x avrà come conseguenza il disturbo y).

Sono diversi i fattori che entrano in gioco nel determinare l'impatto di uno o più eventi sulla psiche come, per esempio, tipologia e caratteristiche dell'evento, età del soggetto, aspetti di personalità, modalità cognitive di elaborazione messe in atto e grado di supporto interpersonale ricevuto.

Clinica e ricerca hanno comunque evidenziato significative associazioni fra esperienze traumatiche e sviluppo di determinate sindromi, come ad esempio per i disturbi dissociativi o il disturbo borderline di personalità. Il manuale diagnostico più diffuso fra gli addetti ai lavori (DSM-5) riconosce l'esposizione ad eventi o condizioni traumatiche protratte nel tempo come importanti fattori di rischio per lo sviluppo di numerosi disturbi e dedica inoltre un particolare capitolo ad alcuni disturbi nei quali l'accertata esposizione ad uno o più eventi traumatici è inclusa fra i criteri diagnostici e precede lo sviluppo dei sintomi. 

Una delle importanti novità introdotte dal DSM-5 (APA, 2014) rispetto alle precedenti edizioni del Manuale è costituita  infatti dal nuovo capitolo riservato ai Disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti.

Rispetto al DSM IV-TR [1], il capitolo racchiude nuove categorie diagnostiche e categorie di disturbi precedentemente catalogate altrove. Il nuovo capitolo comprende le diagnosi di: Disturbo reattivo dell'attaccamento, Disturbo da impegno sociale disinibito, Disturbo da stress post-traumatico, Disturbo da stress acuto e Disturbi dell'adattamento [2]. Tutti i disturbi sono accomunati dal riferimento all'esposizione ad un evento traumatico o stressante prevista come criterio strutturale.    

Il Disturbo reattivo dell'attaccamento può riguardare bambini di età compresa fra i 9 mesi e i 5 anni, costituito in sintesi da un pattern di comportamenti inibiti ed emotivamente ritirati nei confronti dei propri genitori o di chi se ne prende abitualmente cura, difficoltà sociali e nella modulazione delle emozioni con l'evidenza di un accudimento con caratteristiche potenzialmente traumatiche, in termini di trascuratezza o deprivazione sociale, ripetuti cambiamenti di figure con funzioni genitoriali e/o istituzionalizzazione, che si presume abbia causato i problemi manifestati. Quando provano disagio questi bambini non sono in grado di ricercare conforto o protezione dai propri caregiver e rispondono in modo minimo ai tentativi in tal senso attuati dagli adulti. Le loro capacità di regolazione emotiva risultano compromesse ed essi mostrano pertanto episodi di irritabilità, tristezza o paura apparentemente ingiustificati e difficilmente spiegabili. Nonostante le condizioni traumatiche suddette rappresentino requisiti fondamentali per la diagnosi, «anche in popolazioni di bambini gravemente trascurati, il disturbo risulta essere raro, verificandosi in meno del 10% di questi bambini» (APA, 2014, p.309).

Nel Disturbo da impegno sociale disinibito, diagnosticabile dalla prima infanzia all'adolescenza, un trascorso di cure insufficienti (con caratteristiche analoghe a quelle evidenziate per il  Disturbo reattivo dell'attaccamento) è causa di un pattern di comportamenti contraddistinti da interazioni socialmente disinibite con adulti sconosciuti con scarsa reticenza negli approcci, eccessiva familiarità, ridotto controllo a distanza del genitore/caregiver in caso di allontanamento, elevata disponibilità ad allontanarsi con adulti sconosciuti. Il disturbo può manifestarsi anche in soggetti con attaccamento sicuro ma sembra essere comunque raro, manifestandosi in una minoranza di bambini, anche fra quelli istituzionalizzati o gravemente trascurati (APA, 2014).

Il Disturbo da stress post-traumatico (PTSD, Post-traumatic Stress Disorder), si riferisce all'insorgenza di determinati sintomi in seguito all'esposizione ad uno o più eventi traumatici. È possibile diagnosticare il disturbo anche in bambini molto piccoli, facendo però riferimento a criteri separati per quelli al di sotto dei 6 anni di età. Per gli adulti, adolescenti e bambini maggiori di 6 anni, i criteri diagnostici fanno riferimento all'esposizione ad uno o più eventi traumatici (A) con il successivo manifestarsi di: sintomi intrusivi associati all'evento (B), evitamento degli stimoli associati all'evento (C), Alterazioni negative di pensieri ed emozioni associati all'evento (D) e  alterazioni dell'arousal e della reattività associati all'evento (E), con durata dei sintomi superiore ad un mese (F). L'esordio dei sintomi avviene in genere entro i tre mesi dall'esposizione all'evento traumatico, ma  può anche verificarsi un ritardo di più mesi o anni prima che risultino soddisfatti tutti i criteri necessari alla diagnosi (in questo caso si definisce il disturbo attraverso lo specificatore “con espressione ritardata”).

Il Disturbo da stress acuto rappresenta un'altra categoria diagnostica della sezione dei Disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti nel DSM-5. La caratteristica essenziale del disturbo è ancora lo sviluppo di determinati sintomi che fanno seguito all'esposizione a uno o più eventi traumatici. Gli eventi traumatici previsti sono gli stessi presi in considerazione per il PTSD, con le stesse modalità di esposizione (criterio A). Cambia la durata dei sintomi che va da 3 giorni a un mese dall'esposizione al trauma (rispetto al PTSD vi è una minore durata del disturbo e non sono previste forme con “espressione ritardata” dei sintomi). La diagnosi è effettuata in base alla presenza di nove (o più) sintomi riferiti alle catagorie di intrusione, umore negativo, sintomi dissociativi, evitamento, arousal.  La prevalenza del disturbo in popolazioni esposte recentemente ad un trauma varia in base alla natura dell'evento: il Disturbo da stress acuto tende ad essere diagnosticato in meno del 20% dei soggetti esposti a traumi non comportanti aggressioni interpersonali, mentre tassi più elevati (20-50%) sono stati riscontrati a seguito di eventi traumatici interpersonali come aggressioni o stupri (APA, 2014). Il disturbo può risolversi entro un mese dall'esposizione al trauma o sfociare in un PTSD. La metà circa degli individui con PTSD presenta inizialmente un Disturbo da stress acuto (APA, 2014).

La diagnosi di Disturbi dell'adattamento è posta in base allo sviluppo di sintomi emotivi e comportamentali, clinicamente significativi, in risposta a uno o più eventi stressanti identificabili. I sintomi producono una sofferenza sproporzionata rispetto alla gravità dell'evento stressante e una compromissione significativa del funzionamento. Per definizione, il disturbo inizia entro i tre mesi dall'insorgenza dell'evento stressante e non dura più di sei mesi dopo la fine dell'evento o delle sue conseguenze. Gli eventi stressanti possono riguardare un'ampia casistica: la fine di una relazione sentimentale, difficoltà economiche, andare via di casa, andare in pensione, ecc... Anche a causa dell'estensione dei criteri, la diagnosi di Disturbi dell'adattamento risulta piuttosto comune (APA, 2014).

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[1] Nel DSM IV-TR le diagnosi di Disturbo post-traumatico da stress e Disturbo acuto da stress si trovavano all'interno del capitolo dei “Disturbi d'ansia”. La diagnosi del DSM-IV-TR di Disturbo Reattivo dell’Attaccamento era collocata fra i “Disturbi Solitamente Diagnosticati per la Prima Volta nell’Infanzia, nella Fanciullezza o nell’Adolescenza” e prevedeva due sottotipi: inibito e disinibito. Nel DSM-5, questi due sottotipi sono diventati due diagnosi distinte: Disturbo reattivo dell’attaccamento  e Disturbo da impegno sociale disinibito. La categoria del DSM-5 dei Disturbi dell’adattamento era precedentemente collocata in un capitolo a parte.

[2] La nuova Sezione del DSM-5 comprende inoltre le due categorie diagnostiche residuali del "Disturbo correlato a eventi traumatici e stressanti con altra specificazione" e "Disturbo correlato a eventi traumatici e stressanti senza specificazione".



Riferimenti bibliografici:
 
American Psychiatric Association (2014), Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Quinta edizione, DSM-5, trad. it. Raffaello Cortina editore

sabato 7 maggio 2016

Il Disturbo da stress post-traumatico

Il Disturbo da stress post-traumatico (conosciuto anche attraverso l'acronimo PTSD, dall'inglese Post-Traumatic Stress Disorder) si riferisce allo sviluppo di un insieme caratteristico di sintomi legati all'avvenuta esposizione ad uno o più eventi traumatici. Tali sintomi provocano significativo disagio e possono compromettere notevolmente la qualità delle relazioni affettive e sociali, nonché del funzionamento lavorativo di chi ne soffre.

Caratteristiche diagnostiche

La persona che sperimenta i sintomi ha vissuto, ha assistito, o si è confrontata con uno o più eventi implicanti morte, minaccia di morte, gravi lesioni o violenza sessuale. Tali eventi possono includere situazioni relative ad aggressioni fisiche reali o minacciate, scippi o rapine, rapimenti, tortura, esperienze militari in zone di guerra, incidenti automobilistici, disastri naturali, eventi o incidenti medici inattesi, abusi sessuali.

I sintomi del disturbo si caratterizzano per:

(1) L'intrusione ricorrente ed involontaria di vissuti associati all'evento traumatico subito che possono manifestarsi sotto forma di ricordi spiacevoli, incubi, reazioni dissociative (per es. flashback) in cui la persona sente o agisce come se l'evento traumatico si stesse ripresentando, intensa sofferenza psicologica e marcate reazioni fisiologiche all'esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simboleggiano o assomigliano ad aspetti associati all'evento traumatico;

(2) Un persistente evitamento degli stimoli associati all'evento traumatico (evitamento o tentativi di evitare pensieri, luoghi, persone, attività o situazioni associabili all'evento in quanto in grado di suscitare pensieri e sentimenti spiacevoli ad esso associati);

(3) Alterazioni negative di pensieri ed emozioni associati all'evento traumatico che possono evidenziarsi attraverso incapacità di ricordare aspetti importanti dell'evento traumatico (amnesia dissociativa), esagerate convinzioni o aspettative negative su sé stessi, gli altri e il mondo, pensieri distorti relativi alla causa dell'evento traumatico che portano la persona ad incolpare se stesso o gli altri, marcata riduzione di interesse o partecipazione ad attività significative per il soggetto, sentimenti di distacco/estraneità nei confronti degli altri, persistente incapacità di provare emozioni positive;

(4) Alterazioni dell'attivazione e reattività che possono evidenziarsi attraverso elevata irritabilità ed esplosioni di rabbia, comportamento spericolato o autodistruttivo, ipervigilanza, esagerate risposte di allarme, problemi di concentrazione, problemi ad addormentarsi o mantenere il sonno.

Sviluppo, prevalenza, decorso, fattori di rischio

Il Disturbo da stress post-traumatico può manifestarsi a qualsiasi età, fin dal primo anno di vita. Per i bambini al di sotto dei sei anni, le manifestazioni cliniche variano in parte da quelle sopra esposte che si riferiscono agli individui maggiori di sei anni [1]. Lo sviluppo completo dei sintomi avviene solitamente entro i tre mesi dall'esposizione all'evento traumatico, ma vi sono casi in cui si registra un ritardo di alcuni mesi o anche di anni (si parla in questi casi di “espressione ritardata”).

Le ricerche epidemiologiche sembrano indicare che l'esposizione ad esperienze traumatiche nel corso della vita sia piuttosto comune nella popolazione generale [2]. Uno studio su un ampio numero di soggetti [3] rappresentativo della popolazione generale degli USA, ha rilevato che il 51% negli uomini e del 61% nelle donne era stato esposto almeno una volta ad eventi traumatici. Lo stesso studio ha riscontrato una prevalenza media del disturbo dell'8% (10% per le donne e 5% per gli uomini); stime inferiori sono state riscontrate da ricerche condotte in Europa, confermando il dato che non tutti i soggetti esposti a un trauma sviluppano un PTSD.

Il decorso del PTSD è molto variabile. La durata dei sintomi è sempre superiore ad un mese [4], ma circa la metà degli individui adulti mostra una remissione completa entro tre mesi dalla diagnosi, mentre altri individui mostrano i sintomi per più di 12 mesi ed alcuni anche per decenni [5].  Il tipo di evento traumatico subìto gioca un ruolo significativo nello sviluppo e decorso del PTSD. Traumi implicanti l'esposizione intensa e ravvicinata a violenza interpersonale ed intenzionale sembrano, in particolare, associati a maggiore gravità e durata del disturbo [6].

I fattori di rischio sono solitamente suddivisi in pretraumatici, peritraumatici e post-traumatici.  
Tra i fattori pretraumatici il sesso femminile sembra essere maggiormente associato con il PTSD rispetto a quello maschile ed un'età più giovane (per gli individui adulti) al momento trauma espone ad un maggior rischio per lo sviluppo del disturbo così come uno status socio-economico basso, un basso livello di istruzione, pregressi disturbi psichiatrici nell'individuo o nelle figure di accudimento, precedenti esperienze traumatiche (particolarmente trascuratezza o abusi fisici e/o sessuali nell'infanzia) ed aspetti di personalità legati a pre-esistenti tendenze all’ansia e alla depressione. 
Per fattori peritraumatici si intendono quelli intervenienti in prossimità temporale del trauma, in contemporanea o in un momento immediatamente successivo. Eventi più gravi veicolanti un livello di minaccia più elevato, più duraturi e con caratteristiche di imprevedibilità e incontrollabilità sono quelli che maggiormente mettono alla prova le capacità individuali di adattamento ed espongono ad un rischio maggiore per il disturbo. Traumi implicanti violenza interpersonale sono associati con maggiore rischio di sviluppo del disturbo. 
Fra i fattori post-traumatici di rischio citiamo lo scarso aiuto e supporto ricercato/ricevuto dall'ambiente interpersonale, successivi traumi o eventi di vita avversi e la presenza nell'individuo di altri disturbi psichiatrici.

Il trattamento psicologico del PTSD

I modelli di intervento psicoterapeutico riconosciuti come più efficaci nel trattamento del Disturbo da stress post-traumatico sono quelli provenienti dall'approccio cognitivo-comportamentale e comprendono interventi di esposizione, ristrutturazione cognitiva, psicoeducazione e tecniche di gestione dell'ansia [7].
Le tecniche di esposizione (in vivo e narrativo/immaginative) si concentrano sul riesame delle memorie traumatiche e prevedono sostanzialmente che i pazienti vengano esposti agli stimoli temuti in condizioni di sicurezza, con lo scopo di estinguere le loro reazioni di ansia. La ristrutturazione cognitiva si focalizza invece sull'identificazione e ristrutturazione di pensieri e cognizioni disfunzionali alla base delle emozioni di paura, rabbia e senso di colpa comuni fra i pazienti. Questi interventi vengono solitamente associati a tecniche per la gestione dell'ansia mirate ad alleviare i sintomi e ad incrementare il controllo della reattività psicofisiologica e ad interventi di psicoeducazione su natura, caratteristiche e significato dei sintomi sperimentati dal paziente.

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[1] Il DSM-5 prevede criteri diagnostici separati per i bambini al di sotto dei sei anni di età; American Psychiatic Association, 2014
[2] Breslau, 2009; Kessler et al., 1995
[3] Indagine effettuata su un campione di 5877 persone di età compresa fra i 15 e i 54 anni (Kessler et al., 1995).
[4] La durata dei sintomi superiore ad un mese rappresenta uno dei criteri per diagnosticare il disturbo nel DSM-5
[5] American Psychiatric Association, 2014
[6] American Psychiatric Association, 2014; Craparo, 2013
[7] Foa et al., 2008; VA/DoD, 2010; Frueh et al., 2013.


Riferimenti bibliografici:

American Psychiatric Association (2014), Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Quinta edizione, DSM-5, trad. it. Raffaello Cortina editore

Craparo G. (2013), Il disturbo post-traumatico da stress, Carocci

Foa, E. B., Keane, T. M., Friedman, M. J., & Cohen, J. A. (Eds.). (2008). Effective treatments for PTSD: practice guidelines from the International Society for Traumatic Stress Studies. Guilford Press.

Frueh, C., Grubaugh, A., Elhai, J. D., & Ford, J. D. (2013), Disturbo Post traumatico da stress. Diagnosi e trattamento, FerrariSinibaldi, Milano, 2013.

Kessler, R. C., Sonnega, A., Bromet, E., Hughes, M., & Nelson, C. B. (1995). Posttraumatic stress disorder in the National Comorbidity Survey. Archives of general psychiatry, 52(12), 1048-1060.

VA/DoD Management of Post-Traumatic Stress Working Group (2010), VA/DoD clinical practice guideline for management of post-traumatic stress, Veterans Administration, Department of Defense,  Washington DC, http://www.healthquality.va.gov/guidelines/MH/ptsd/cpg_PTSD-FULL-201011612.pdf


mercoledì 20 gennaio 2016

CORSO DI FORMAZIONE SUL TEST DI RORSCHACH - 5a EDIZIONE

Al via la quinta edizione del corso di formazione sul test psicodiagnostico di Rorschach di cui sono docente.

Il Corso in modalità E-Learning (videoconferenza diretta) è accreditato dalla Scuola Romana Rorschach, riconosce gli iscritti come Soci Allievi dell´Istituto e consente l´accesso all´esame finale di attestazione della competenza acquisita al pari del classico corso biennale d´aula. 

Informazioni ed iscrizioni su www.psicoapplicata.org